Negli articoli precedenti, abbiamo provato a delineare un quadro più chiaro possibile circa i microrganismi patogeni più comuni responsabili delle malattie stagionali tipiche della stagione fredda, ovvero i virus e i batteri, mettendo in luce tratti comuni e tratti distintivi, sia da un punto di vista strutturale e di funzionamento, sia per quanto riguarda le possibili strategie di trattamento.
In questo articolo ci concentreremo sui virus, provando a capire quali possano essere le modalità più efficaci per controbatterne l’azione e prevenire o ridurre i potenziali effetti avversi successivi all’infezione. Per poter comprendere meglio il senso delle strategie attuabili contro i virus, ricordiamo brevemente un elemento essenziale: diversamente dai batteri, che sono degli esseri viventi molto semplici ma dotati di tutte le strutture per potersi moltiplicare purché nutriti (ricordiamo che ceppi batterici piastrati su terreni di coltura contenenti sostanze nutritizie possono crescere e proliferare), i virus hanno una struttura molto più semplice ed essenziale, e al tempo stesso del tutto insufficiente per la loro sopravvivenza e sviluppo: un filamento di DNA o di RNA (rispettivamente a doppia o a singola elica, tale filamento è costituito da una sequenza di cosiddette “basi azotate” ripetute in modo preciso e specifico per ogni virus, contenente le informazioni genetiche) racchiuso in una capsule proteica che ne consente l’ingresso nell’ospite. Questo elemento è essenziale per capire perchè gli strumenti di attacco e terapia che abbiamo visto con gli antibiotici non sono applicabili ai virus, che vanno pertanto affrontati in modo diverso.
Nel caso dei virus, un concetto molto importante che giova ricordare, ragionando in una logica di “causa-effetto”, è che in molti casi è assolutamente giusto e legittimo non fare nulla di attivo contro i microrganismi (ovvero le cause): spesso, infatti, si ricorre a una semplice terapia di supporto finalizzata a lenire i sintomi causati dall’infezione (ovvero gli effetti), lasciando che faccia il suo corso e che l’organismo risponda attivando sistemi di difesa volti a contenere gli eventi pro-infiammatori scatenati dall’infezione stessa; esempi tipici di questo approccio sono quelli del raffreddore, causato da un Rinovirus, dell’influenza in moltissimi individui che scelgono di non vaccinarsi (ne parleremo in seguito) o delle infezioni intestinali virali. In tutti questi casi, quindi, le terapie sono concettualmente pensate in modo del tutto differente rispetto alle infezioni batteriche trattate con terapie antibiotiche (quindi terapie mirate alle cause a monte dei sintomi).
Facciamo un esempio per comprendere meglio questo concetto. Se ci troviamo dinanzi ad un quadro sintomatologico riconducibile ad una faringo-tonsillite (febbre, mal di gola e tosse sono probabilmente i sintomi più ricorrenti), la terapia di supporto (antipiretici, antinfiammatori del cavo orale, prodotti per curare e lenire la tosse) resta la stessa a prescindere dalla possibile causa; tuttavia, nel caso di una infezione batterica, può essere opportuno abbinare una terapia antibiotica per eliminare le cause scatenanti, mentre nel caso di supposta origine virale non si aggiunge alcunchè e si lascia che l’infezione faccia il suo corso.
Strategie preventive: i vaccini
Ma quali sono, allora, le possibili strategie terapeutiche che si possono attuare contro i virus? Direi che in prima battuta possiamo sicuramente parlare di strategie preventive. Questo filone è quello maggiormente percorso, e al contempo uno dei più dibattuti in ambito farmacologico: posto che nel novero delle strategie preventive sono ricomprese anche tutte le sostanze immunostimolanti aspecifiche quali Vitamina C, Echinacea, Uncaria, vitamine del gruppo B e probiotici (l’intestino è la prima barriera difensiva dove si attua l’azione del sistema immunitario), la parte preponderante di questo gruppo è costituito dai vaccini, intorno ai quali si è da sempre tanto dibattuto, in particolare negli ultimi anni. La questione delle vaccinazioni è chiaramente un argomento molto complesso che potrebbe aprire lo spazio a infinite valutazioni. Bisogna mantenere equilibrio e rispetto….sempre, consapevoli della delicatezza della questione e dei rischi di un approccio sbagliato: trattare approfonditamente queste tematiche dovrebbe essere di esclusiva competenza di medici specialisti, per cui in questa sede ci limiteremo a parlarne in termini puramente tecnici, dando alla questione un taglio basato su evidenze di carattere scientifico.
Cosa significa vaccinarsi? E’ giusto farlo? Fa male? Provoca danni? Mille possono essere gli interrogativi che si aprono sulla questione, spesso senza riuscire a trovare una risposta certa e univoca. Grossolanamente possiamo dire che lo scopo di ogni vaccinazione dovrebbe essere quello di stimolare in modo specifico il nostro sistema immunitario, inducendo, tramite somministrazione di frazioni di microrganismi patogeni opportunamente trattate e rese innocue, la produzione di diverse tipologie di specifici anticorpi, chimicamente note come Immunoglobuline (ricordiamo in modo particolare le IgA, le IgM e le IgG, le ultime in particolare responsabili dell’immunizzazione di lunga durata). Tali anticorpi costituiscono uno strumento di difesa ad alta specificità perché rendono il nostro organismo meno suscettibile agli effetti causati dai suddetti patogeni a seguito di avvenuta infezione. Qui compare subito un primo fondamentale concetto: nel caso delle malattie infettive più diffuse, quelle tipiche della stagione fredda, l’obiettivo della vaccinazione non è quello di inibire il contagio bensì appunto di attenuarne gli effetti in termini di processi pro-infiammatori causati dai virus, decorso e conseguente impatto sulle condizioni pregresse dell’individuo. A titolo esemplificativo, pensiamo, durante l’ultima fase della pandemia, alle troppe discussioni in merito alla (vera o presunta?) inefficacia della vaccinazione contro il COVID dato l’elevato numero di reinfezioni in pazienti vaccinati: scientificamente, questa è una obiezione del tutto inopportuna, che sposta completamente il focus dal vero obiettivo della vaccinazione. Un virus a trasmissione aerobia (quale quello del COVID, ma anche quello dell’influenza o, allargando il discorso ai batteri, il bacillo dello Streptococco assai diffuso in ambito scolare, per fare altri esempi assai noti) non può venire bloccato inoculando un vaccino che agisce all’interno del nostro organismo inducendo a livello sistemico la produzione di sistemi difensivi; per impedire il contagio, nel caso specifico sarebbe necessario creare una barriera fisica….quali per esempio sono state le mascherine indossate per diverso tempo. In assenza di una protezione di tipo fisico, è semplicemente impensabile impedire che virus e batteri che viaggiano nelle goccioline di saliva emesse da ogni persona “infetta” possano non entrare in contatto con le mucose di altri individui; esistono anticorpi di tipo IgA (che persistono per un tempo brevissimo e creano quindi uno stato di immunità assai poco duraturo) situati a livello delle mucose in grado di inibire o quantomeno fortemente ostacolare l’attecchimento dei germi, ma la forma di difesa immunitaria più efficace e solida è costituita da anticorpi secondari di tipo IgG, che intervengono a seguito di avvenuta infezione a bloccare i processi di replicazione virale che consentono ai virus di proliferare nell’organismo ospite, a favorire la “fagocitosi” (eliminazione per inglobamento delle frazioni virali) e a inibire i processi infiammatori che i virus provocano.
Non è compito di nessuno se non del personale medico che segue ogni singolo individuo, valutare l’opportunità di vaccinare oppure no un paziente; è essenziale, però, comprendere correttamente i termini della questione senza farsi condizionare da valutazioni non scientifiche, erroneamente sostenute e alimentate a volte in modo spropositato e inopportuno. Alla domanda, quindi, se è necessario vaccinarsi, la risposta, al netto del fatto che stiamo parlando di una inoculazione di una sostanza che genera delle reazioni nel nostro corpo e conseguentemente non può in alcun modo essere considerata “innocua”, credo possa essere “dipende”. Da cosa? Dalla corretta valutazione del bilanciamento rischi/benefici. Posto che nulla che agisce generando una reazione è considerabile totalmente innocuo, si dovrà parlare di “profilo di sicurezza”. La scelta di somministrare un vaccino sarà quindi la risultante della valutazione degli effetti positivi che la vaccinazione stessa potrà dare ad un individuo considerando i potenziali effetti collaterali, e questi effetti positivi saranno da ricercare ancora una volta nella attesa attenuazione della portata dei sintomi causati dall’infezione; rendere più lievi gli effetti di una infezione sarà tanto più opportuno quanto più complessa è la condizione fisica e di salute della persona in questione.
Terapie antiretrovirali
Un ultimo rapido cenno può essere fatto alle cosiddette “terapie antiretrovirali”: quando si fa riferimento alle malattie della stagione fredda causate da infezioni virali, tali terapie sono assai poco diffuse, mentre sono sicuramente più note in riferimento ad altri ceppi virali (pensiamo all’Aciclovir somministrato in casi di infezione da Varicella Zoster o da Herpes Zoster – il ben noto Fuoco di s.Antonio). Il razionale di questi farmaci è quello di bloccare o fortemente ridurre la replicazione virale, primo essenziale step che i virus mettono in atto una volta infettato un organismo ospite; sfruttando le strutture biochimiche dell’individuo infettato, si riproducono “copiando” la propria sequenza di DNA o di RNA, moltiplicando sé stessi e conseguentemente incrementando la carica virale; inibire tale processo significa contenere al livello più basso possibile la quantità di particelle virali presenti nell’organismo infettato, e conseguentemente significa minimizzare più possibile gli effetti infiammatori ( e quindi i sintomi) causati dall’infezione stessa.
Concettualmente si tratta di un approccio estremamente efficace, nonché molto specifico, ma sfortunatamente c’è un limite molto alto da superare che è dato dal fattore tempo: se il farmaco non viene somministrato nelle primissime fasi dell’infezione, perde drasticamente di efficacia, e per poter attuare questo genere di terapie deve essere fatta una diagnosi molto precoce e assolutamente certa. Facciamo un esempio noto a pochissimi: anni fa venne commercializzato un farmaco per l’influenza (sì, non un vaccino, un farmaco specifico!)….uno dei più grandi fallimenti che io possa ricordare dell’ultimo ventennio! Eppure ogni anno si ammalano di influenza, a volte con esiti assai poco piacevoli, milioni di individui! Come si spiega questo fallimento? A parere mio la causa è da ricercare nel concetto di cui parlavamo poco fa, ovvero il fattore tempo: solo una diagnosi precoce e certa (usando per esempio un tampone simile in tutto e per tutto ai tantissimi fatti per il Covid) avrebbe consentito di prescrivere questo farmaco, ma ai tempi questa pratica era del tutto sconosciuta!! Discorso analogo può essere fatto anche per il caso del Covid, per il quale è stato commercializzato un farmaco antivirale specifico: anche in questo caso, a fronte di migliaia e migliaia di casi chiari di infezione, l’utilizzo di questo farmaco è stato praticamente trascurabile.
Consentitemi, a questo punto, di fare una riflessione personale e pormi un interrogativo la cui risposta non mi è data a sapere. Prima di porlo, però, partirei da alcuni presupposti: è noto che le complicanze del virus influenzale portano ogni anno, da sempre, conseguenze spesso assai pesanti a molti pazienti fragili e con un pregresso stato di salute precario; i cosiddetti “tamponi”, che per almeno due anni durante la pandemia sono stati parte integrante della nostra quotidianità, non sono certo una esclusiva per far diagnosi di Covid, ma esistono da molto tempo anche per il virus influenzale; tali tamponi sono un valido strumento per fare diagnosi rapida, precoce e specifica. Sulla base di questi presupposti, perché un farmaco oggettivamente indicato per ridurre gli effetti di una infezione estremamente diffusa non è praticamente mai stato utilizzato? Perché la pratica diagnostica dei tamponi non è mai stata estesa al virus influenzale, al fine di poter orientare in modo mirato la terapia?
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